Omelia_ 27 Giugno_ XIII domenica del Tempo Ordinario

GIORNATA PER LA CARITA’ DEL PAPA “OBOLO DI SAN PIETRO”

Ricorre oggi la giornata per la carità del Papa. È l’annuale raccolta delle “Offerte” che avviene nella domenica più vicina alla festa dei SS. Pietro e Paolo. Ognuno è chiamato a contribuire alle necessità del Papa e della Santa Sede. “Dio ama chi dona con gioia” “poco o molto, donare con gioia”. La liturgia di oggi inizia con una affermazione “Dio ci ha resi figli della luce con il suo Spirito di adozione” e continua con una richiesta “fa che restiamo sempre luminosi nello splendore della verità”. I termini luce e verità ci riportano alle parole di Gesù nel vangelo di S. Giovanni “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini, la luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me…In verità, in verità io vi dico: chi crede in me compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi perché vado al Padre”. Gesù è luce, è la vita per ogni uomo, in Lui troviamo la nostra speranza. La prima lettura tratta dal libro della Sapienza ci illustra l’Agire di Dio nei confronti dell’uomo e della creazione. “Dio non ha fatto la morte e non prova alcuna gioia con la rovina dei viventi”. “Egli ha creato tutto per l’esistenza e le creature del mondo sono sane”, “il regno della morte non ha alcun potere sulla terra”. La Sapienza ci dice che Dio è sempre dalla parte della vita e anche se l’uomo sperimenta la morte fisica è incamminato grazie all’amore di Dio alla comunione profonda con Lui. Dio è amico della vita. Ogni persona che vive nella giustizia entrerà nel riposo di Dio. Il Vangelo di S. Marco illustra l’atteggiamento di Gesù dinanzi al dramma della morte e della sofferenza, ci vengono presentati due racconti, il primo di Giairo capo della sinagoga che si presenta a Gesù dicendo: “Mia figlia sta morendo, vieni a imporre le mani, perché sia salvata e viva”. Il secondo è quello di una donna ammalata che si accosta a Gesù per essere guarita. La donna per la legge ebraica era ritenuta impura ed era esclusa da ogni rapporto umano, la rendeva inabile al culto e non era partecipe alle riunioni della comunità ed era economicamente in rovina.  È una donna sfinita non solo nel fisico a causa della perdita di sangue, ma è ferita anche nella umanità, è una emarginata. L’ultimo tentativo per guarire è toccare anche solo il mantello di Gesù, avvenendo questo “subito si fermò il flusso del sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male”. La donna scoperta dal Signore gli si gettò ai piedi, disse la verità, era giunta alla fede in Gesù e solo allora quella donna sarà guarita. Gesù accetta la fede della donna, forse sbagliata o ancora accennata, accetta questa misera e distorta nostalgia come Via a Lui sulla quale può accadere la salvezza. Anche la nostra fede è solo un faticoso andare a “tentoni” che quasi non vede Gesù com’è, ma si sforza in qualche modo di farsi strada tra la folla, tra tutto quello che ci separa da Lui. La seconda parte del Vangelo è la risurrezione della figlia di Giairo, Gesù risveglia la bambina, ordina che le sia dato da mangiare e la ridona alla sua famiglia. Gesù è il creatore che dona la vita e anche noi accanto a Gesù siamo il sì di Dio più forte della forza del male-

Omelia_20 Giugno_ XII Domenica del Tempo Ordinario

L’orazione che introduce la liturgia della Parola è molto articolata; è formata da una prima affermazione “Dio tutte le creature sono in tuo potere e servono il tuo disegno di salvezza” per poi chiedere al Padre “di rendere salda la fede dei suoi figli, perché nelle tempeste della vita possano scorgere la tua presenza forte e amorevole”. Molte volte abbiamo affermato come dice S. Giovanni nel suo vangelo che credere è ascoltare, e nello stesso tempo vedere. L’ascolto della fede avviene secondo la conoscenza propria dell’amore, è un ascolto personale, che sa distinguere la voce e riconosce Gesù Buon Pastore; è un ascolto che richiede il seguire Gesù come hanno fatto i discepoli. Gesù molte volte ha detto: “Chi crede in me crede in Colui che mi ha mandato; chi vede me vede Colui che mi ha mandato”. Nel Vangelo di S. Marco  Gesù era seduto sulla barca con i discepoli, ma essi sono stati presi dalla paura per la tempesta del vento e delle onde, non hanno saputo credere e vedere la presenza di Gesù che rassicura e consola, ecco che Gesù dirà loro: “Perché avete paura? Non avete fede?”. S. Agostino ci dice che: “credere è toccare con il cuore” e solo quando siamo configurati a Gesù, noi riceviamo occhi adeguati per vederlo. Gesù è presente sulla barca, dormiva, i discepoli non riescono a comprendere che, se anche sono nella tempesta, Gesù è presente accanto a loro e non devono temere. L’inizio del Vangelo di S. Marco presenta il termine di una intensa giornata di Gesù, che sulle rive del lago di Genezaret ha annunciato, attraverso le parabole, l’avvento del Regno di Dio. È Lui stesso che, a sera, chiede ai discepoli “di passare all’altra riva”; la partenza è immediata, ma quando sono sul lago e Gesù riposa, si scatena la tempesta. Gesù è il nuovo Mosè che domina le acque e fa uscire Israele dalla schiavitù del peccato. Gesù è il Signore di tutta la creazione, per mezzo di Lui e in vista di Lui tutte le cose sono state create, Egli è il Signore della natura e della storia. Molte volte nella nostra storia di persone siamo andati incontro a momenti di difficoltà; ora la nostra certezza deve  essere una sola “solo in Gesù vi è la salvezza”. Al termine del brano evangelico, S. Marco ci dice che la tempesta è cessata e il mare si è calmato; i discepoli hanno scoperto che in Gesù c’è qualcosa di più di quanto essi hanno scoperto, non sanno che Gesù si lascia guidare dal Padre Celeste. La domanda che si pongono l’un l’altro è: “Chi è dunque costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?”  Giobbe direbbe: “ E’ Dio”. Voglio riportare alcune parole della lettera ai Corinzi: “L’amore di Dio ci possiede”. È l’amore che fa richiedere al Signore di accrescere sempre la nostra fede per essere una sola cosa con Lui.

Omelia_ 13 Giugno_ XI Domenica Tempo Ordinario – S. Antonio da Padova

La preghiera che introduce la liturgia della Parola è l’invocazione che il fedele rivolge a Dio; cosa esprime: che Dio è fortezza di chi spera il Lui, chiede che ascolti con bontà le invocazioni che gli rivolge, chiede il suo aiuto perché è consapevole della propria debolezza, di soccorrerlo sempre con la sua grazia. “Perché fedeli ai comandamenti possiamo piacerti”. L’ultima espressione è molto bella perché rivela come possiamo piacere a Dio, questo può essere se saremo fedeli alla Sua Parola e alla legge donata a Mosè sul Monte Sinai. Ricordiamo oggi la memoria liturgica di S. Antonio di Padova; il nome ricevuto nel battesimo era Fernando e non era nato a Padova, ma a Lisbona in Portogallo. Raggiunta l’età di quindici anni il giovane prova un desiderio intenso di contemplazione, entra nei Canonici Regolari nel convento di San Vincenzo poco lontano da Lisbona. A venticinque anni Fernando incontra i frati inviati da Francesco di Assisi per la predicazione, lascia l’abito dei Canonici Agostiniani e indossa il saio francescano cambiando il nome da Fernando ad Antonio “uomo tonante”. Il desiderio di Antonio è solo uno: “Donare tutto il sangue al Dio immenso che per noi ha versato tutto il suo”. A ventisette anni troviamo Antonio a Montepaolo e in quella solitudine potrà dire: “Oh beata solitudine, oh sola solitudine, oh silenzio, grande silenzio”. In quel luogo Antonio, nella preghiera silenziosa potrà dire: “L’anima fedele, colomba che si annida nella cavità della caverna….vi trova rifugio contro lo sparviero che la minaccia”. Da quel momento inizia la via, la strada che Dio gli indicherà per la salvezza dei fratelli. Il programma di Antonio per la vita cristiana è ripreso dalla prima lettera di San Pietro: “adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Prendiamo anche noi esempio da S. Antonio e poniamo nei nostri cuori Cristo Signore. La liturgia della Parola pone in evidenza la grande bontà di Dio che fa crescere il “ramoscello”, il seme e il granello di senape. La Parola di Dio viene “seminata” nel campo del mondo, ma anche nel terreno della nostra vita personale. È la Parola di Gesù che rende saldo il Regno di Dio che cammina nella storia degli uomini, essa cresce indipendentemente dal volere degli uomini, germoglia, produce lo stelo quindi i grani nella spiga che giunti a maturazione vengono posti nel granaio. Il punto essenziale, non è quello che il contadino fa, ma quel che egli non fa. Egli non si preoccupa di quanto avviene nel terreno, la sua attività si limita ad andare a letto di notte e alzarsi al mattino, il seme germoglia, cresce grazie alla attività della terra in modo spontaneo, così il Regno di Dio avanza irresistibilmente come il seme che il contadino ha gettato nel campo. Un canto liturgico dice: “Il Signore ha messo un seme nella terra del mio giardino, il Signore ha messo un seme nel profondo del mio mattino”. Questo seme è la “Grazia di Dio” che stimola ognuno di noi a crescere nell’amore di Dio e ci stimola ad essere testimoni del Regno senza preoccuparci dei risultati, senza stupirci perchè è Dio che fa crescere il Regno, noi siamo solo dei servi che ascoltano e vivono della Parola del loro Padrone.